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Calenda: «Industria 4.0, i miei conti In arrivo altri 10 miliardi di incentivi»

Sarà un salto per le imprese e per il lavoro. Ancora poche le aziende italiane che innovano e internazionalizzano. Recuperare in fretta per evitare un altro choc»

Globalizzazione e progresso tecnologico accompagnano da sempre l’evoluzione dell’uomo e dal XV secolo in poi hanno iniziato ad accelerare fino a quando, alla fine del XX secolo, hanno preso un ritmo mai prima sperimentato che ha profondamente messo in crisi il nostro tessuto economico, sociale, culturale e politico.
Le classi dirigenti liberal democratiche dell’Occidente, per le quali progresso scientifico e internazionalizzazione hanno sempre rappresentato dogmi indiscutibili, non hanno compreso che questi fenomeni andavano governati e non solo promossi e sostenuti. Oggi c’è una consapevolezza diffusa sugli effetti polarizzanti — vincitori/vinti — della globalizzazione, molto meno su quelli persino più profondi dell’innovazione tecnologica che sta innescando un vero e proprio salto evoluzionistico (consiglio a questo proposito la lettura dei due straordinari saggi di Yuval Noah Harari). Questa premessa è utile per spiegare che tutto l’Occidente sta attraversando un crocevia della storia appassionante ma difficilissimo che non possiamo gestire con strumenti ordinari o peggio ignorare, come è successo per anni in Italia.

L’arrivo della Cina

Da quando la Cina nel 2001 è entrata nell’organizzazione mondiale del commercio, l’Italia ha perso circa il 20% di base manifatturiera ma ha guadagnato oltre 140 miliardi di esportazioni. Ancora quest’anno, mentre il nostro export cresce all’8% — ovvero il doppio di quello francese e più di quello tedesco — la crescita del Paese rimane inferiore rispetto a quella europea, per non parlare della produttività e dell’occupazione.

Un mondo di mezzo

Queste apparenti contraddizioni derivano dal fatto che il sistema produttivo italiano è diviso tra un 20% di imprese competitive, un 20% di imprese in crisi e un universo di mezzo che sopravvive ma non ha ancora fatto il «salto». In poche parole sono ancora troppo poche le imprese italiane che innovano e si internazionalizzano. Aumentare gli investimenti in questi due driver di crescita è dunque la chiave per costruire un benessere duraturo. Il tempo è poco e il nostro paese è partito in ritardo. Recuperare il terreno perduto è fondamentale se non vogliamo essere investiti da un altro choc come quello che abbiamo vissuto in Italia con la prima fase della globalizzazione. Fino a un anno fa la conoscenza di industria 4.0 era bassissima: da un’indagine del Politecnico di Milano risulta che nel 2016 circa il 40% delle aziende dichiarava di non conoscerla affatto, oggi questo dato è sceso all’8%. Questo cambiamento è stato il frutto dello sforzo corale che ha accompagnato l’approvazione e l’implementazione del Piano nazionale industria (oggi Impresa) 4.0.

Gli investimenti del Governo

L’anno scorso il Governo ha varato strumenti finanziari e incentivi fiscali automatici all’innovazione e agli investimenti tecnologici per circa 20 miliardi di euro. Il risultato è stato un aumento esponenziale degli investimenti delle imprese italiane, con picchi di quasi il 70% nell’incremento degli ordinativi delle macchine utensili nell’ultimo trimestre. Ma, ancora più dei numeri, è importante la ritrovata spinta di tutto il sistema Paese, dai sindacati alle imprese, verso una nuova visione di politica industriale che ha abbandonato velleità, metodi dirigisti e strumenti barocchi e inutili, primi fra tutti i famigerati incentivi a bando. E va riconosciuto il fatto che, per una volta, anche tutto il sistema politico, maggioranza e opposizione, ha sostenuto il Piano nazionale.

Il secondo capitolo

Quest’anno con la Legge di bilancio vareremo il secondo capitolo del piano, che affiancherà agli stimoli fiscali agli investimenti un credito d’imposta dedicato alla formazione e il potenziamento degli Istituti tecnici superiori. Complessivamente altri 10 miliardi di euro che rendono il piano italiano il più imponente in Europa. Aggiungo che super/iperammortamenti e crediti d’imposta hanno il vantaggio di anticipare gli investimenti e spalmare l’impatto sulla finanza pubblica nel corso degli anni successi. Un’allocazione delle risorse virtuosa, al contrario di quanto avviene negli investimenti pubblici che “atterrano” sul paese molti anni dopo essere stati appostati nel bilancio dello Stato. La sfida è però lungi dall’essere vinta. La quarta rivoluzione industriale porta con sé anche rischi seri per l’occupazione.

Limiti e lentezze

Per questo da qui in avanti le priorità saranno competenze e formazione sulle quali scontiamo un ritardo decennale e dove oggettivamente anche il nostro Piano ha mostrato limiti e lentezze nel primo anno di applicazione. Quanto fatto in questi due anni non servirà a nulla se il piano non continuerà in futuro, diventando sempre più una missione per tutto il Paese. Una missione che ci è congeniale ma che continuerà a richiedere un poderoso sforzo, prima di tutto culturale, a imprese, lavoratori e pubblica amministrazione.

Fonte:
Articolo di Carlo Calenda – Corriere della Sera online – www.corriere.it

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