L’importanza dell’ambiente di lavoro viene spesso sottovalutata ma costituisce un fattore determinante per il successo di un’azienda. I dipendenti felici producono di più e sono più predisposti alla crescita, questo comporta un abbassamento del turnover, in quanto sono meno portati a cercare un’altra occupazione altrove.
Ma come possiamo creare un ambiente ideale nel contesto lavorativo? Come possiamo rendere l’ufficio un luogo stimolante per avere un alto rendimento e una soddisfazione pari al 100%?
Ne abbiamo parlato con Aldo Bottoli, Color e Perception designer, da più di trent’anni impegnato nella ricerca sulle apparenze cromatiche e sulla riqualificazione percettiva degli ambienti pubblici e privati.
Buongiorno Prof. Bottoli. Lei è un designer, in particolare un Peception Designer: ci spiega in cosa consiste questa professione e perché è così legata al mondo del colore?
Alla parola design si associano concetti quali: forma/funzione, bellezza, comfort, emozione, e ancora per i più sensibili ai problemi ambientali: efficacia energetica, cicli di vita, smaltimento…
In tutti questi casi il protagonista appare più l’oggetto che l’utente, il ciclo produttivo e distributivo che le relazioni. Il perception design sposta l’attenzione verso la persona e le sue modalità percettive, cercando di coprire il gap esistente. Il progettare per le persone senza conoscerne a fondo le necessità. Il design si occupa di mercati e mode, il perception design delle persone e delle loro relazioni. Il design parla di utenti-clienti, il perception design di realtà sensibile mutuata dalle culture di riferimento.
Il perception design utilizza in modo più consapevole il potenziale espressivo di luce e colore e del progetto multisensoriale.
Perché è importante il progetto percettivo negli ambienti di lavoro? Come incide sulle performace lavorative?
Per il semplice fatto che mette al centro non le cose e le superfici, ma le persone e il loro modo d’interagire con l’ambiente circostante. Nei luoghi di lavoro questa interazione è aumentata dalla contemporanea presenza di più fattori: si risiede a lungo in spazi artificiali racchiusi, vi si svolgono compiti molto vari dove ripetitività, calo di attenzione, rispetto dei protocolli di sicurezza, impiego di strumenti specifici, richiedono molta attenzione. Si svolgono relazioni ripetute con persone con le quali ci può essere scarsa affinità o intesa. Il comfort ambientale diventa una condizione indispensabile per ottenere buoni e duraturi risultati operativi. In molti casi la scena percettiva e relazionale assume un ruolo importante di attenuazione o di compensazione del mancato comfort o delle difficoltà relazionali.
A Suo giudizio, la PMI è in grado di utilizzare alcuni “escamotage percettivi” per migliorare la qualità degli ambienti di lavoro?
Probabilmente è quella che ne può trarre i maggiori vantaggi/benefici perché le relazioni sono più personali, gli ambienti meno dispersivi e, di conseguenza, i segni di cura più avvertibili.
Imprenditori e dipendenti partecipano alla riqualificazione percettiva degli ambienti o la subiscono? Quanto conta il coinvolgimento delle persone che vivranno gli ambienti?
Molte volte il design lo subiscono perché nasce altrove ed è calato dall’alto. Il perception design richiede invece la partecipazione attiva e la consapevolezza di quanto si è predisposto e si sta facendo. Questo è garanzia di un’efficace implementazione di quanto predisposto, perché molte cose si scoprono con l’uso, e di un buon mantenimento delle performance iniziali.
Ci racconti l’esperienza fatta presso Akzonobel di Cernobbio. Di cosa vi siete occupati? Quali ambienti avete “stravolto” con perception e color design?
È stata un’esperienza complessa che ha riguardato l’esterno degli edifici produttivi e gestionali e tutti gli interni. Sono passati molti anni, ma evidentemente il modello è ancora valido perché è stato ripetuto anche per gli edifici che nel tempo si sono aggiunti. In quel caso, sono stati utilizzati e messi ulteriormente a punto strumenti per il rilievo e la valutazione dei colori posti in lontananza e di forme che chiamiamo allogative per ottenere distrattori o attrattori visivi. Nella fattispecie sono serviti per rendere meno percepibili gli enormi volumi tecnici posti sulla copertura della torre uffici e per mascherare superfici in lamiera addossate all’unità produttiva nuova.
L’industria 4.0 parla spesso di tecnologie, rapporto uomo-macchina e antropometria. Il perception design, per come lo intende lei, non è in qualche modo una “tecnologia”?
Non la definirei una tecnologia, ma un metodo che può essere modellizzato/reso seriale.
Certo presuppone una buona conoscenza delle modalità percettive e delle regole prossemiche che le molteplici attività in azienda richiedono. Oggi si aggiunge anche la necessità di adottare forme di distanziamento anti Covid19 e una buona gestione della prossemica può aiutare molto.
Lei è stato ed è un professore universitario. Dov’è possibile seguire corsi/master su color e perception design?
Con un certo rammarico devo dire che, relativamente al colore, vi è solo qualche raro corso semestrale presso Accademie di Belle Arti e Facoltà di Architettura e un master in Color Design & Technology in collaborazione con l’Associazione Italiana Colore di cui faccio parte come socio fondatore. Per quanto riguarda gli aspetti legati alla percezione al di la di alcuni titoli riferiti alla progettazione “sensibile” vi è ancora poco.
Un’importante riflessione che abbiamo condiviso con piacere con il prof. Bottoli. La cura dei luoghi nella piccola e media impresa può essere il veicolo attraverso il quale trasmettere i valori della propria azienda. Coinvolgere tutti coloro che vivono l’impresa quotidianamente, nei diversi livelli, è un fattore chiave per creare nuovi stimoli e un ambiente di lavoro sano e produttivo.
Aldo Bottoli È un color e perception designer. Nel 1984 ha organizzato per il Salone del Mobile di Milano il convegno “Il colore nell’architettura d’interni”. Da questo momento in poi il tema del colore è diventato un costante ambito di ricerca e di progetto applicato in particolare agli spazi abitati pubblici interni e urbani. Ha insegnato presso numerose scuole di Design e presso la Scuola di Design del Politecnico di Milano.
Attualmente mantiene l’attività di formazione presso RafflesMilano Istituto moda e design – Milano e attraverso lezioni ex cattedra e seminari presso corsi universitari e Ordini Professionali. Relativamente agli spazi racchiusi, l’attività di ricerca e progetto in corso è dedicata in particolare alla persona fragile sperimentando forme di coinvolgimento del gesto d’arte nel quotidiano. Relativamente agli spazi urbani propone una radicale evoluzione dei tradizionali Piani del Colore attraverso il nuovo strumento urbanistico chiamato PRP Piano di Riqualifcazione Percettiva.
E’ tra i soci fondatori del Gruppo del Colore – Associazione Italiana Colore, membro del Comitato Tecnico Scientifico e componente del Comitato Direttivo.